Ricordi scolastici: un’insegnante poco empatica
I miei primi ricordi di una mancanza di empatia risalgono alla scuola superiore: riuscivo a percepire in modo molto chiaro quali insegnanti fossero capaci di mettersi in sintonia con noi alunni e quali no.
In particolare, ricordo l’insegnante di matematica e fisica: quando uno di noi dava la risposta sbagliata, diventava paonazza e cercava di controllare (senza riuscirci) il suo disappunto. La voce diventava severa e l’espressione del viso si faceva improvvisamente seria.
Così, io ed altri compagni finimmo per rinunciare ad alzare la mano e a chiederle spiegazioni, e tantomeno rispondevamo alle sue domande: regnava il terrore in classe e la paura delle sue reazioni era piuttosto forte, specie per chi come me era mediocre nella sua materia.
Non credo che la mia insegnante fosse insensibile: anzi, avevo la sensazione che – al contrario – la sua vita emozionale fosse molto intensa.
Ciò che le mancava erano la consapevolezza delle sue emozioni e la capacità di gestire i suoi sentimenti. Di conseguenza, finiva per essere incapace di costruire una relazione autentica con gli alunni.
Impossibile per lei dimostrare empatia: come poter prestare attenzione alle emozioni degli alunni se non era in grado di identificare, interpretare e regolare le proprie?
Da pedagogista, non mi sorprende che alcuni insegnanti siano privi di queste qualità: molti di loro – specialmente nelle generazioni passate – non hanno ricevuto una formazione sulla gestione delle relazioni umane.
Da venti anni a questa parte, invece, la formazione degli insegnanti in Italia è cambiata ed è più attenta a questi aspetti.
Apprendere con le emozioni positive
D’altra parte, oggi sappiamo che l’apprendimento è più efficace se avviene in un ambiente che stimola emozioni positive e che la paura dell’errore è il nemico numero uno dell’apprendimento.
Siamo più focalizzati su qualcosa che dobbiamo imparare o su un compito complesso se non dobbiamo preoccuparci di gestire emozioni negative che ci vengono da fuori o da dentro.
Infine, impariamo in modo eccellente se quello che stiamo facendo ci piace, ci fornisce un’esperienza emotivamente positiva e vediamo che stiamo facendo dei progressi.
Addirittura, se emozionalmente l’apprendimento è molto piacevole, non sentiamo la fatica e lo sforzo che stiamo facendo oppure paradossalmente vogliamo fare quella fatica perché sappiamo che sarà ripagata dal successo.
Anche nel mondo del lavoro viviamo esperienze simili. Impariamo e lavoriamo meglio se l’ambiente e le relazioni ci stimolano emozioni positive: gioia, divertimento, senso della sfida con se stessi, collaborazione, comprensione reciproca, affiatamento di gruppo, ecc.
Ti è mai capitato? Quanto il lavorare bene insieme, il sapere di poter contare sull’appoggio dei colleghi e lo sperimentare sensazioni piacevoli ti aiuta a ottenere dei buoni risultati?
Quanto è importante avere un capo o una capa che sa anticipare le possibili reazioni emotive quando comunica con te o con il team? Quanto apprezzi che la collega si rivolga a te tenendo conto che le sue parole e il suo atteggiamento hanno un impatto su di te?
Quanto sei capace di tenere conto di tutto questo quando il capo / la capa sei tu?
Essere “capi empatici”
Come dicevo sopra, molti di noi scoprono l’empatia tramite la sua assenza. Tuttavia, anche per gli anni spesi a scuola ci ricordiamo di quell’insegnante che ci ha accompagnato in un’esperienza di apprendimento positiva ed entusiasmante.
Era supportiva, incoraggiante e teneva conto del nostro stato emotivo che poteva cambiare da momento a momento o da un giorno all’altro. Soprattutto, sapeva di essere in una posizione di potere e di poter fare la differenza nella nostra esperienza scolastica: usava quindi una certa sensibilità nei nostri confronti.
Era consapevole del fatto che imparare non è una mera esperienza tecnica, ma umana e globale.
È così anche sul lavoro.
Per quanto tecniche siano le nostre mansioni e i nostri compiti, nel fare bene il nostro lavoro c’è qualcosa di più del semplice ottenere un risultato: c’è un valore che va oltre e che riempie di emozioni la nostra vita.
Riuscire è un’esperienza emozionale importante.
Quindi perché è importante essere capi empatici? Che differenza fa sul lavoro? E che cosa significa essere empatici? Che cos’è l’empatia?
L’empatia non può mancare sul lavoro
L’empatia è la capacità di mettersi nei panni dell’altro, di comprendere e sentire i suoi sentimenti.
Come è possibile essere empatici, quindi? Dobbiamo essere degli indovini per poter sapere quali sentimenti prova l’altro?
Non serve essere degli indovini, ma è fondamentale affinare la nostra sensibilità cioè la nostra capacità di sentire l’altro, la sua energia emotiva e quello che avviene nella comunicazione con lui o lei.
Super-potere?
No, frutto di un percorso di crescita personale e di allenamento. L’empatia è forse una delle qualità che diventano competenza solo se mettono radici in una grande onestà verso noi stessi e verso gli altri.
Non possiamo cogliere i sentimenti altrui, anticiparli e adattare la nostra comunicazione in base a questi se non siamo in grado di identificare e “leggere” i nostri sentimenti, direi in tempo quasi reale.
Lavorare con empatia non è un punto di partenza, ma un obiettivo e il risultato (sempre parziale) di un percorso di crescita personale.
Vuoi fare questo percorso anche tu?
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