Comunità: una parola che personalmente associo all’immagine di coesione e di territorialità. La comunità mi fa venire in mente il piccolo paesino di montagna piuttosto che la parrocchia o comunque un’aggregazione di persone e famiglie nutrita da cultura e credenze comuni.
Oppure la associo ai servizi di integrazione delle funzioni famigliari quando queste sono carenti o assenti: mi fa venire in mente le comunità educative, le case-famiglia, le comunità alloggio, o le comunità terapeutiche. Aggregazioni sufficientemente piccole per assicurare relazioni coese, ma comunque sempre più ampie della famiglia nucleare.
Le due immagini sono sensibilmente diverse, ma hanno qualcosa che le lega: l’interazione frequente e – diciamo pure – quotidiana tra le persone da una parte e una serie di principi e norme che regolano la convivenza dall’altra.
Quando studiavo da educatore, soprattutto nei primi anni, il mio desiderio più grande era quello di “lavorare in comunità”. L’idea di un contatto stretto e quotidiano richiamava i legami famigliari e le potenzialità che questi hanno nel provvedere alla crescita delle persone, intesa come sviluppo di qualità e abilità umane.
Poi ho capito che non mi piaceva: l’impegno di dover supplire a funzioni genitoriali e famigliari – magari con ragazzini “difficili” – non faceva per me.
La parola comunità evoca l’idea di interazioni frequenti tra persone che condividono valori comuni
Anche all’interno di un’azienda, rimane qualcosa di queste due immagini di comunità: in particolar modo, la frequentazione assidua tra le persone e il fatto di condividere norme e principi. Eppure questo non basta per fare di un’azienda una comunità.
Nel mio immaginario la parola comunità evoca qualcosa di affettivamente intenso. C’è molta intelligenza emotiva in questa.
Nel corso della mia carriera, difficilmente sul lavoro ho trovato qualcosa che vi assomigliasse, ma ne ho sentito l’esigenza e in alcuni casi ho creduto fortemente di poter dare un contributo che andasse in quella direzione.
Comunità ha il sapore e il calore delle relazioni umane e della condivisione di qualcosa di importante: persone legate le une alle altre da valori comuni.
La comunità non è una strategia
In realtà, dalla definizione di Wikipedia, sembra emergere un’accezione molto tecnica del termine: “Insieme di persone unite tra di loro da rapporti sociali, linguistici e morali, vincoli organizzativi, interessi e consuetudini comuni”.
C’è un’ampia letteratura sociologica e antropologica sulla comunità.
Celebre è la distinzione che Ferdinand Tönnies ha fatto nel suo libro Comunità e società (pubblicato nel lontano 1887) tra le due forme di aggregazione sociale. Max Weber e Eric Hobsbawm trattano il tema dei cambiamenti avvenuti nell’ambito delle relazioni sociali sulla spinta della modernità. Più vicino a noi, Benedict Anderson nel 1983 scrive delle comunità immaginate come base dei movimenti nazionalisti e Zygmunt Bauman ha pubblicato nel 2001 Voglia di comunità (traduzione dall’inglese Missing Community) per parlare della nostalgia di relazioni sicure.
Da una veloce ricerca in Google, mi sono accorto che gli articoli che trattano questo tema per l’ambito aziendale, hanno un linguaggio freddo e tecnico che nulla ha a che vedere con la realtà e con la costruzione di relazioni umane e la promozione di una cultura condivisa.
Il senso di comunità non è una strategia del business da applicare all’azienda
La costruzione di comunità non può diventare un’altra strategia del business o l’ennesima procedura a cui attenersi: è come uccidere la comunità ancor prima di farla nascere oppure come spegnere le fiammelle di comunità che già animano l’azienda in alcune sue aree.
Il senso di comunità (o spirito comunitario) è qualcosa che viene riconosciuto come uno dei segreti del successo di un’organizzazione.
È un asse fondamentale della costruzione della cultura aziendale. Che non può essere pensata come una teoria scritta a tavolino dai vertici per essere poi trasferita ai dipendenti.
Se è vero che la cultura aziendale spesso nasce con i fondatori di un’azienda e si alimenta coi valori della sua tradizione, ha bisogno di essere continuamente integrata coi contributi di chi ci lavora e ridefinita ogni volta che si chiude un ciclo di vita dell’impresa.
Le aziende capaci di innovarsi trasformano la loro cultura imparando dagli errori e dall’esperienza dei collaboratori.
Che cosa fa di un’azienda una comunità o una galassia di comunità interdipendenti?
Su cosa si basa il senso di comunità? Quali sono i meccanismi fondanti di una comunità aziendale?
Come dicevo sopra, la comunità non è uno stratagemma per far funzionare meglio l’azienda e renderla più produttiva. O è autentica e genuina, o non porta benefici. Poi è pur vero che può generare valore per l’azienda a tutti i livelli, compresa la produttività.
Se sento che lo spirito comunitario fa bene prima di tutto a me stesso come executive, come manager, come imprenditore, ecc., solo allora sono credibile nel mio sforzo di attivare pratiche di comunità in azienda con il mio staff.
La comunità si basa sulla qualità delle relazioni umane e cresce con il crescere di quelle
Esiste però anche un lato rischioso di questo spirito in azienda.
La coesione di team può diventare un boomerang se non viene ancorata ai valori e agli obiettivi aziendali e, direi pure, alle norme che regolano l’azienda. Paradossalmente, questo spirito di team può diventare un: “stiamo così bene insieme”, ma finiamo per dimenticarci quali sono i nostri compiti.
Quindi il senso di comunità si costruisce intorno ai valori e agli obiettivi dell’azienda, cioè quello in cui essa crede e che desidera ottenere. E questo non è certamente un ostacolo allo spirito comunitario.
Recentemente ho presentato uno strumento in grado di valutare il potenziale innovativo di un team o dell’intera impresa. L’ho chiamato la formula dell’innovazione. Uno dei fattori di questa formula matematica è proprio lo spirito comunitario.
Come interagisce questo fattore con altri elementi indispensabili perché emerga l’innovazione?
Se vuoi approfondire, ti consiglio di leggere la pagina dedicata a questo strumento e di scaricarlo per testarlo direttamente sul tuo team. Io sarò a disposizione per maggiori spiegazioni e per continuare un percorso di analisi e attivazione di strategie per la creazione di una comunità aziendale.
Una riflessione finale
Costruire comunità significa partecipare ad un percorso di crescita. Ecco perché la comunità non è uno strumento in più per l’organizzazione aziendale, ma è l’espressione del valore e del benessere di chi lavora in un’azienda.
Riuscire ad agire gli uni verso gli altri come parte di una realtà che aderisce a valori, obiettivi e norme significa cambiare il proprio modo di vedere le relazioni con i colleghi e di praticarle.
Costruire comunità in azienda significa avviare un percorso di cambiamento anche a livello personale
Se voglio, ad esempio, costruire una comunità aziendale basata sul valore della trasparenza, dovrò sforzarmi ad esempio di non parlare alle spalle di qualcuno (anche innocentemente), ma di dire al diretto interessato cosa penso e di farlo con delicatezza. Oppure, di apprendere le modalità per rivolgere critiche costruttive se qualcosa non mi convince.
Quindi, fare comunità è sicuramente creare le condizioni perché questa emerga come spirito e come pratica – e in questo gli aspetti tecnici possono aiutare -, ma soprattutto dare l’esempio per primi e avviare un processo di cambiamento che avrà effetti collettivi e personali.