Negli ultimi cinque mesi, ho dedicato la maggior parte del mio tempo a formulare soluzioni da offrire alle aziende in base a quello che avevo fatto dall’inizio della mia carriera: aiutare le persone a crescere e a diventare migliori.
Questo è stato e rimane lo scopo della mia vita, il valore trainante di quello che faccio quotidianamente.
Durante la realizzazione del mio pacchetto di servizi, andavo alla ricerca di storie di aziende che avevano realizzato al loro interno quello che era il mio valore più importante: trattare il personale come agente di cambiamento anziché come strumento di lavoro e di profitto.
Queste aziende le ho trovate e sono impegnato a conoscerne a fondo la cultura.
La cultura aziendale è la sintesi di quello che un’impresa crede e persegue nella teoria e nella pratica
L’espressione cultura aziendale è diventata molto popolare negli ultimi anni e può essere considerata la cifra della sostenibilità di un’impresa: dal punto di vista sociale, etico, ambientale e produttivo. In quell’espressione, si racchiudono le forze motrici del meccanismo che la anima.
Tuttavia spesso quella “cultura” non è frutto di una scelta, ma di una serie di processi di inerzia. Se lasciamo che le cose vadano per conto proprio – e magari abbiamo come guida solo il profitto -, all’azienda sfuggiranno una quantità di elementi incredibilmente potenti che potrebbe utilizzare per svilupparsi.
Ci sono aziende che sono cresciute sotto la spinta di una motivazione iniziale forte e il sostegno di condizioni favorevoli. A volte si sono ingrandite senza avere la consapevolezza di quello che si muoveva al loro interno dal punto di vista umano prima che tecnico.
Quando emerge questa consapevolezza, è giunto il momento di interrogarsi sulla cultura aziendale: il che significa sulla propria identità, storia e direzione futura.
Chi siamo? Perché esistiamo? Quali sono i nostri punti di forza? Quali i nostri valori? Quali regole di condotta definiscono la nostra azione?
Quale stile caratterizza le relazioni tra e con i dipendenti? Quale direzione vogliamo prendere nei prossimi 5 e 10 anni?
«Ut agri, sic animi cultura» scriveva Cicerone. Lo si può dire anche della coltivazione di un’azienda
Non a caso la parola cultura ha a che fare con la coltivazione. Coltivare l’azienda presuppone tenere conto di tutti gli elementi che la fanno crescere, esattamente come l’agricoltore provvede tutto il necessario perché le piante crescano sane e portino del frutto buono e abbondante.
Ricordo quando all’università uno dei miei professori preferiti – con cui poi ebbi occasione anche di collaborare – parlandoci di cultura, citava Cicerone. “Ut agri, sic animi cultura”. Esattamente come facciamo con un campo, dobbiamo fare con noi stessi. E, aggiungerei, con la nostra azienda. Fare che cosa? Coltivarla come un campo.
Questa premessa mi serve ad introdurre un secondo tema: quello della motivazione sul lavoro e del suo legame con la cultura aziendale.
Anche in Italia da alcuni anni, sulla spinta di una tradizione che viene prevalentemente dagli Stati Uniti, si fa un gran parlare di motivazione e di come ritrovarla nella propria vita e sul lavoro. Se ne parla come della strategia per eccellenza per ottenere il successo.
Tutti gli autori più o meno tendono a sottolineare che essere motivati nasce dalla nostra interiorità.
Quindi se crei idee nuove, persegui degli obiettivi con determinazione, coltivi i tuoi sogni e mantieni una mente positiva, sarai sempre motivato. Più meno la narrazione dominante popolare è questa.
I cosiddetti guru della motivazione tendono a dare un peso spropositato alla motivazione in senso individuale
Inoltre, i “guru” della motivazione infiammano il loro pubblico basandosi prevalentemente su una leadership di tipo carismatico e visionario, che è solo una delle possibili declinazioni della leadership. A tal proposito ho spiegato in questo articolo il concetto di leadership situazionale.
Sappiamo quanto sia importante avere una visione e uno scopo che ispirino e trascinino il nostro potenziale, ma non sono queste le uniche componenti della motivazione.
Anzitutto immaginate una operaia in un’azienda piuttosto che una manager. Due posizioni diverse, con responsabilità diverse e aree di influenza molto differenti. Due posizioni con un potere molto dissimile in azienda. Immaginate adesso una libera professionista.
Quale delle tre ha maggiore possibilità di incidere sulla propria vita professionale e quindi sulla propria motivazione ad agire sul lavoro?
In azienda, la motivazione personale – quella che nasce da se stessi – non è sufficiente per alimentare un ciclo che mantiene alti soddisfazione, benessere e performance.
L’influenzamento che la struttura e le dinamiche aziendali hanno sul singolo dipendente è molto forte. Quindi, se vogliamo parlare di motivazione sul lavoro dobbiamo tenere in conto sia fattori interni che esterni.
Quelli esterni possono essere modellati solo se c’è una volontà della dirigenza e una partecipazione di tutto il personale.
L’azienda ha un grande potenziale in termini di influenzamento della motivazione dei singoli dipendenti
Le forze di pressione positive che possono venire dall’azienda nel suo insieme sono molto importanti. Soprattutto per chi ha una posizione, un livello e compiti in cui non può esercitare un’influenza significativa se non sulle poche relazioni che lo circondano.
Un articolo di Business Harvard Review che leggevo di recente parlava delle tre P come chiavi della motivazione: play, purpose e potential. Si tratta rispettivamente di provare gioia nello svolgere il proprio lavoro, di identificarsi pienamente con i valori e con lo scopo dell’azienda e di vedere il proprio potenziale crescere grazie al lavoro.
Mi sembra una buona sintesi di quello che motiva un dipendente a impegnarsi ogni giorno nel fare bene il proprio lavoro.
Vorrei aggiungere alla lista alcune note.
La motivazione aumenta grazie al potenziamento del senso di agency che avviene grazie alla maggior partecipazione alle decisioni aziendali, ovvero al fatto di sentire che il singolo ha il potere di incidere sull’insieme. È il contributo che io posso dare al miglioramento dell’impresa: “to make a difference” si direbbe in inglese.
Ecco perché Google mette fra i tre valori fondanti della sua cultura mission, transparency e voice. Quest’ultima significa dare valore a ciascuno perché possa contare veramente nella direzione da prendere in azienda.
Ecco perché Google e Netflix sottolineano l’importanza cruciale della trasparenza, del condividere apertamente le informazioni a tutti i livelli. Questa è una cosa che ho ritrovato anche nell’indiana HCL Technologies nel periodo in cui Vineet Nayar è stato CEO.
Sentire una forte connessione tra il lavoro individuale fatto quotidianamente e lo scopo dell’azienda è sicuramente un elemento molto potente per sostenere la motivazione. Tuttavia, se il singolo dipendente percepisce che lo scopo ultimo dell’azienda è solo quello di fare profitto, difficilmente si sentirà parte della sua missione.
Nothing is a more powerful motivator than to know that you are making a difference in the world, Laszlo Boch
La verità è, tuttavia, che nessuna grande (non in senso di dimensioni, ma di visione) azienda innovativa ha quale scopo principale il profitto. Laszlo Boch, direttore People Operations di Google, scrive che “niente dà più spinta alla motivazione di sapere che stiamo dando un contributo al miglioramento del mondo”.
Chi cerca soluzioni, servizi e prodotti da vendere, lo fa prima di tutto per l’orgoglio di dare al mondo qualcosa di utile, di eccezionale, di bello, ecc. O per l’orgoglio di arrivare primi, come è successo con il team che ha prodotto il primo calcolatore da tavolo della storia, la Programma 101 di Olivetti, che ha aperto la strada alla realizzazione di quelli che conosciamo come PC.
Se vogliamo che i lavoratori “agiscano come proprietari dell’azienda piuttosto che come dipendenti”, tutto quello che ho detto sopra va tenuto in debita considerazione e dovrebbe diventare la linea guida della trasformazione aziendale.