Oggi uno dei grandi temi dell’impresa è sicuramente l’innovazione. E l’innovazione non è necessariamente tecnologica, come ha ben sottolineato Francesca Folda di Amani Institute in una delle sue recenti interviste.
Innovazione significa anzitutto trovare soluzioni nuove ai problemi di sempre e capacità di rispondere velocemente alle nuove sfide che la realtà ci pone.
L’innovazione è un oggetto di studio estremamente interessante. Linda A. Hill e colleghi lo dimostrano nel volume “Il genio collettivo. La cultura e la pratica dell’innovazione”. Nel libro vengono presentati casi-studio di aziende profit e non-profit che hanno saputo innovarsi e rivoluzionare il modo di fare impresa ottenendo grandi successi.
Le aziende capaci di innovare rispondono creativamente alle sfide e ai problemi nuovi e vecchi.
Gli autori, grazie ad uno studio etnografico approfondito, mostrano che l’innovazione non è il prodotto di una persona geniale o di un leader dalle idee brillanti, ma il frutto di un certo tipo di lavoro di squadra.
In questo processo, tuttavia, i leader hanno un ruolo fondamentale: essi possono creare un ambiente in cui le persone sono disposte a fare il “lavoro duro necessario per risolvere i problemi” in modo creativo.
La creatività, per l’appunto, è un ingrediente essenziale dell’innovazione ed è un elemento fondamentale dei processi di “problem solving”, di risoluzione dei problemi. Di questo vorrei parlarvi oggi nel mio quarto appuntamento sul team management.
Come si può stimolare la creatività in un gruppo di lavoro?
Che esistano persone geniali e ricche di talento lo dice la storia passata e recente. E il genio può venire da qualunque territorio e classe sociale.
Le neuroscienze parlano di una predisposizione alla genialità in un determinato campo o “intelligenza” come ci spiega Howard Gardner, padre della teoria delle intelligenze multiple, ma questo non è sufficiente perché la genialità emerga.
Alcuni tipi di ambiente favoriscono l’emergere della genialità e del talento. James Hillmann ne “Il codice dell’anima” racconta di come il talento (il “daimon” lo chiama) si sia fatto strada nella vita di alcuni geni e in quale momento sia riuscito ad emergere grazie (o nonostante) l’ambiente circostante.
La questione della genialità è stata studiata a lungo e le ricerche si sono interrogate sul ruolo dell’ambiente e dell’educazione ricevuta – soprattutto in famiglia – per produrre o favorire una “mente geniale”.
La genialità individuale è una questione di alto potenziale, ma anche di educazione.
Ad esempio sono state fatte numerose ipotesi per la presenza di così tanti innovatori tra persone di cultura ebraica e sembra che proprio l’educazione trasmessa nelle famiglie ebree punti al miglioramento di sé e alla coltivazione dei talenti.
La scuola, invece, è stata purtroppo additata come luogo di livellamento e di standardizzazione piuttosto che come contesto capace di far emergere la qualità eccezionali dei bambini.
Quanti geni hanno studiato da autodidatti o hanno lasciato la scuola!
Oggi, tuttavia, l’approccio sta sensibilmente cambiando in Italia: ci sono scuole che – in collaborazione con le università – hanno iniziato a prestare attenzione al “genio” (che chiamano plus-dotazione o alto potenziale cognitivo) e cercano di riorganizzare la didattica in modo da non reprimerlo, ma al contrario per promuoverlo.
A volte questo grande talento si nasconde proprio nei bambini cosiddetti “iperattivi”, che in realtà sono solamente “gifted” e non trovano il modo di indirizzare questo loro talento nell’ambiente circostante.
Che significa tutto ciò? Occorre essere dei geni per creare e innovare?
Per la pedagogia e per la didattica è sempre stata una questione di grande portata quella di sapere come formare bambini e ragazzi in grado di essere creativi. I primissimi studi a cui attingere, tuttavia, sono stati realizzati nell’ambito della psicologia.
Uno di questi libri è senz’altro “Il pensiero laterale” di Edward De Bono (1970). Il pensiero laterale è una tipologia di pensiero che favorisce la creatività.
In poche parole, chi crea e produce idee nuove ha una mente che non segue un pensiero lineare e logico, ma è aperta a possibilità inattese e produce molteplici soluzioni alternative contemporaneamente.
Questo può accadere sia individualmente sia collettivamente. Anzi, collettivamente il processo viene addirittura potenziato.
La sfida, nel caso della creatività collettiva, – come suggerisce Linda A. Hill – sta nel fatto che da un gruppo di lavoro adeguatamente stimolato possono venire soluzioni diametralmente opposte o molto differenti.
La capacità del leader è proprio quella di riuscire a guidare il team verso la generazione di soluzioni comuni senza che la conflittualità delle idee porti al caos o alla disgregazione.
I leader dell’innovazione creano le condizioni affinché le persone lavorino in modo creativo.
Quindi, favorire la creatività è la chiave per produrre nuove idee e soluzioni e non occorre essere dei geni per attivarla.
Tuttavia essa ha bisogno di essere allenata sia individualmente che in gruppo. Come è possibile farlo?
Come applicare tutto questo al proprio team di lavoro?
Se è vero che l’ambiente può soffocare o può favorire l’emergere della creatività, quanto contano lo stile di management/leadership, il tipo di controllo/libertà nella gestione del personale, gli orari di lavoro (fissi o flessibili), l’organizzazione e il design dell’ambiente, la qualità delle relazioni, la soddisfazione e la motivazione?
Che cosa possiamo fare – nella nostra posizione – per potenziare la produzione di nuove idee e soluzioni nella nostra impresa?.
Oltre ai casi-studio narrati in “Il genio collettivo”, un altro esempio illuminante di azienda che si è organizzata per generare innovazione e creatività è sicuramente Netflix.
Nel prossimo articolo alcuni consigli utili per stimolare la creatività nel team, a cui mi auguro che possiate aggiungere anche i vostri.